Una classica distinzione adottata sin dalle origini della linguistica generativa, è quella tra competenza (competence) e performance linguistica (Chomsky 1957, 4). Da un lato, per competenza si intende «la conoscenza astratta del proprio linguaggio», ovvero quell’insieme di regole o principi che permettono a qualsiasi parlante nativo di determinare se un’espressione è ben-formata oppure no rispetto alla lingua di riferimento, e, in caso di ben-formatezza, riuscire ad assegnare a questa espressione almeno una descrizione strutturale indicativa del modo in cui l’espressione stessa verrà interpretata. Dall’altro lato, per performance linguistica si intende invece l’effettivo uso di questa conoscenza, ad esempio in fase di comprensione (parsing) o produzione di un enunciato: in questi contesti di performance, fattori extralinguistici, quali le limitazioni di memoria e attenzione, possono «attenuare» la naturale predisposizione a processare frasi ben-formate. È per questa ragione che frasi «generabili» dalla nostra grammatica, quindi grammaticali in senso stretto, in realtà possano risultare «improcessabili» o inaccettabili dal punto di vista di un parlante reale perché richiederebbero, ad esempio, risorse mnemoniche che eccedono quelle umane. In questo articolo si vuole riflettere criticamente su questa assunzione di fondo, mostrando come non sia logicamente semplice dividere questi due aspetti e come una teoria della competenza più cognitivamente interessante è una teoria che non relega ad un altro dominio, per cui i principi di funzionamento non sono esplicitati (quello della performance, appunto), i dati empirici che non riesce a spiegare. Il problema verrà prima inquadrato nel dibattito teorico corrente (§2), quindi verranno presentati una serie di dati che secondo l’approccio convenzionale non sono spiegabili ricorrendo alla nostra semplice competenza linguistica (§3); infine si presenterà un modello grammaticale che suggerisce come questa distinzione non sia logicamente necessaria, mostrando come, in realtà, ciò che permette di catturare questi fatti senza 244 rinunciare ad una teoria grammaticale unificata, rende anche la teoria stessa cognitivamente interessante (§4).
Competenza e performance: una distinzione cognitivamente obsoleta
CHESI C
2012-01-01
Abstract
Una classica distinzione adottata sin dalle origini della linguistica generativa, è quella tra competenza (competence) e performance linguistica (Chomsky 1957, 4). Da un lato, per competenza si intende «la conoscenza astratta del proprio linguaggio», ovvero quell’insieme di regole o principi che permettono a qualsiasi parlante nativo di determinare se un’espressione è ben-formata oppure no rispetto alla lingua di riferimento, e, in caso di ben-formatezza, riuscire ad assegnare a questa espressione almeno una descrizione strutturale indicativa del modo in cui l’espressione stessa verrà interpretata. Dall’altro lato, per performance linguistica si intende invece l’effettivo uso di questa conoscenza, ad esempio in fase di comprensione (parsing) o produzione di un enunciato: in questi contesti di performance, fattori extralinguistici, quali le limitazioni di memoria e attenzione, possono «attenuare» la naturale predisposizione a processare frasi ben-formate. È per questa ragione che frasi «generabili» dalla nostra grammatica, quindi grammaticali in senso stretto, in realtà possano risultare «improcessabili» o inaccettabili dal punto di vista di un parlante reale perché richiederebbero, ad esempio, risorse mnemoniche che eccedono quelle umane. In questo articolo si vuole riflettere criticamente su questa assunzione di fondo, mostrando come non sia logicamente semplice dividere questi due aspetti e come una teoria della competenza più cognitivamente interessante è una teoria che non relega ad un altro dominio, per cui i principi di funzionamento non sono esplicitati (quello della performance, appunto), i dati empirici che non riesce a spiegare. Il problema verrà prima inquadrato nel dibattito teorico corrente (§2), quindi verranno presentati una serie di dati che secondo l’approccio convenzionale non sono spiegabili ricorrendo alla nostra semplice competenza linguistica (§3); infine si presenterà un modello grammaticale che suggerisce come questa distinzione non sia logicamente necessaria, mostrando come, in realtà, ciò che permette di catturare questi fatti senza 244 rinunciare ad una teoria grammaticale unificata, rende anche la teoria stessa cognitivamente interessante (§4).I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.